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giugno 29, 2007

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giugno 25, 2007

Ovviamente come data preferirei il 6 luglio

18 giugno

giugno 21, 2007

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11 giugno

giugno 14, 2007

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Il locale chiude da questa settimana per cambio gestione…

RECENSIONE

giugno 6, 2007

PETER HANDKE, “NEI COLORI DEL GIORNO”

“DILLO, CON I SUOI COLORI” (pag. 46)

Nel suo “Nei colori del giorno” Peter Handke descrive il percorso attraverso il quale sente di essere giunto ad una “connessione non spiegabile ma da raccontare” (pag. 44). Lo descrive “in una lingua smaterializzata eppure concreta” (pag. 47), come in un diario delle sue intime emozioni, una “riflessione sul veduto”- come Cèzanne definiva il proprio metodo pittorico- che si traduce in una “tempesta di pensieri” (pag. 49): la scrittura è personale e soggettiva quanto le riflessioni che racconta, fluida ma difficile e discontinua, frammentaria; procede per associazioni come lo scorrere di immagini e sensazioni nella memoria, A volte ci si trova coinvolti in voli pindarici dei quali non si capisce bene il significato e la pertinenza, ma ai fini dell’autore la suggestione del sentire finisce per essere più efficace di un discorso razionale.

Oggetto del percorso descritto nel libro, vale a dire della ricerca personale di Handke, è la riscoperta del reale e soprattutto del reale in quanto “dicibile”: la trasmissibilità delle immagini attraverso le parole. Ed è costante infatti il parallelo pittore-scrittore, sul quale Handke costruisce tutto il proprio percorso: sono entrambi figure di artista il cui strumento di indagine del mondo è la “fantasia” più che “l’intelletto”, ed il cui scopo- quasi un compito direi- è quello di creare per gli altri uomini delle raffigurazioni del mondo che mettano davvero in comunicazione l’uomo con il reale. Figure di collegamento dunque, in grado di spiegare il mondo esattamente ma non in termini del tutto razionali. Non a caso lo scrittore intraprende la propria ricerca sulle tracce dei quadri dei pittori, come ad esempio quelli di Gustave Courbet, per trovare poi il proprio “grande maestro” in Paul Cèzanne.

Infine la risposta gli viene da un preciso punto di collegamento tra gli strati di roccia della montagna Saint Victoire, soggetto preferito di Cèzanne, e gli viene sotto forma di epifania, di attimo di improvvisa rivelazione: un passaggio non del tutto razionale, appunto. Tuttavia la segreta verità così svelata sembra allo scrittore essere sempre stata sottesa alle cose: è così da sempre, lui stesso l’ha sempre saputo, e lo stesso svelamento si potrebbe dire sia stato preparato e guidato dalla mano di un sorta di destino.

La montagna di Cèzanne non è di per se stessa l’oggetto dell’indagine o la chiave della soluzione: essa piuttosto contiene questa “chiave di volta”, che la rende il luogo dell’ “analogia” con tutti i colori del mondo, l’ideale tavolozza alla quale riferire qualsiasi oggetto del reale. Attraverso di essa, nel suo “silenzio pensoso” (pag. 22) in cui si dispongono i colori, Handke scopre, o riscopre, che la “bellezza” è “guardare la terra” (pag. 46): inutile riferirsi ad immagini “celesti”, ideali, per vedere e descrivere il mondo, perché “le vere idee coincidono con i loro oggetti”, sono totalmente razionali e insieme totalmente reali. Ma per guardare veramente, l’uomo moderno ha bisogno di un nuovo “paio d’occhi” (pag. 52) : una volta riuscito in questo, lo scrittore-pittore può davvero fare propria l’immagine, che diventa dicibile. E’ il processo di “realizzazione”(pagg. 16-24-49-50-64), nel senso letterale di dar vita a qualcosa di reale: non “inventare” ma “realizzare”, è questo il modo di dipingere di Cèzanne, ed è questo il modo di scrittura al quale Handke aspira.

Non nelle pure immagini della mente, ma “nei colori del giorno, io sono”: la vita passa in me come oggetto concreto, forma che è possibile fare propria, nella sua fisicità e nei suoi colori, e si può quindi anche trasmettere.

Lun 4 maggio

giugno 5, 2007

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Lun 28 maggio

giugno 3, 2007

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Fotografo di riferimento

Maggio 31, 2007

STEPHEN SHORE

Ho scelto di ispirarmi al lavoro di Stephen Shore. Questo fotografo non parla di una cosa nei termini di un’altra, ma sa invece far diventare belli i termini che in definitiva sono quelli esatti. Ricerca la naturalezza: la ripresa il più possibile diretta e oggettiva della realtà; la scelta di soggetti tratti dalla quotidianità delle periferie americane e per questo universali; la grande cura del colore e le composizioni semplici ed equilibrate; la narrazione neutra ma acuta rivelatrice di ciò che abbiamo sotto gli occhi ogni giorno ma non sappiamo più veramente “guardare”. A questo Shore aggiunge l’attenzione, “antropologica” più che critica o artistica, alla relazione tra ambiente e presenza umana: ho in mente in particolare “Uncommon places” (1982), in cui egli indaga i rapporti tra architettura, segni e oggetti in spazi pubblici.

21 maggio

Maggio 29, 2007

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